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Si parla spesso di rivoluzione nel retail. Canali moltiplicati, comportamenti d’acquisto evoluti, percorsi cliente sempre più sofisticati. Il cambiamento è visibile sul fronte consumer.
Ma all’interno delle aziende? È tutta un’altra storia.
Quando ho iniziato a lavorare nel settore, oltre vent’anni fa – in marchi come Gucci, Prada, Coach – la gestione dell’inventario e la pianificazione erano già basate su processi manuali. Oggi, da consulente a contatto con decine di brand, posso dire che in molti casi è ancora così.
Non è cambiato quasi nulla. Ed è un problema serio.
Un settore bloccato nel passato
Il retail continua a operare con logiche obsolete. Nonostante siano disponibili tecnologie avanzate e strumenti collaudati, gli investimenti non arrivano. L’innovazione c’è, ma l’adozione resta limitata. Ed è un paradosso.
Abbiamo già oggi tutto il necessario per risolvere problemi storici nella gestione dell’inventario. Eppure, le aziende continuano a trovare scuse.
Perché? Paura dei costi? Della complessità? Mancanza di visione? Probabilmente un mix. Ma in un contesto in cui la redditività è sotto pressione, non c’è più spazio per l’indecisione.
L’intelligenza artificiale è già realtà. E rappresenta una svolta. Più incisiva dei social, più pervasiva dell’e-commerce. Forse paragonabile solo all’impatto che ha avuto Internet.
Come dice Deepak Chopra: “C’è sempre agitazione prima di un grande cambiamento, come l’acqua prima dell’ebollizione”. L’IA non sostituisce l’intelligenza umana: la potenzia.
A condizione di saperla integrare nei processi operativi.
Una funzione strategica ancora sottovalutata
Nella realtà, il planning resta un’attività sotto pressione. Processi manuali, carichi eccessivi, scarsità di risorse.
Ricordo un ruolo da planner per cui dovetti andare dal medico con uno spasmo all’occhio che non passava. Mi disse: “Il suo cervello va più veloce del suo corpo.” In altre parole: ero al limite.
Il problema centrale è che pochi comprendono davvero come funziona il lavoro dei planner. Di conseguenza, il ruolo non è né riconosciuto né finanziato.
I manager sanno che i planner sono preparati e competenti. Ma non ne colgono la complessità, né l’impatto. Il risultato? Scarsa priorità, pochi strumenti, nessuna evoluzione.
Eppure, strutturando e valorizzando il planning, molte aziende potrebbero ottenere miglioramenti significativi in termini di vendite e marginalità.
Alcuni brand lo hanno capito. I leader migliori investono nei team di planning, li coinvolgono nelle decisioni strategiche e forniscono gli strumenti adatti. E i risultati parlano chiaro.
Tre leve per trasformare il planning in un vantaggio competitivo
In primo luogo, integrare i planner nelle decisioni strategiche. Nessuna trasformazione – ERP, e-commerce, marketing – dovrebbe avvenire senza il loro contributo. Nel retail omnicanale, il planner è il punto di connessione tra dati e realtà operativa. Troppe volte tocca a loro “farsi notare”. Le aziende più lungimiranti li coinvolgono fin dall’inizio.
Secondo, investire in uno strumento di gestione dell’inventario. È sorprendente quanto pochi brand abbiano adottato soluzioni avanzate. Eppure un buon sistema di stock management può migliorare la marginalità, ridurre gli sprechi e aumentare la velocità decisionale. L’ERP e il POS sono indispensabili, certo. Ma senza un motore di pianificazione, si naviga a vista. Excel non è sufficiente. E l’inazione costa cara.
Infine, rafforzare i team con profili dedicati. Troppo spesso i planner sono figure ibride: merchandising, analisi, operations… Questo approccio riduce la specializzazione e ostacola la crescita. Servono figure focalizzate, competenti e ben strutturate, per aumentare la maturità dei processi.
Uscire dal retail Jurassic Park è possibile
Oggi i planner raramente sono percepiti come leva di crescita. Lavorano nell’ombra, su processi complessi, spesso invisibili. Ma il loro impatto sulla redditività è diretto.
Il settore è a un bivio. Le marginalità calano, l’incertezza è strutturale. Ma chi mette i team di planning al centro della strategia non solo resiste: cresce.
La domanda è semplice: i vostri planner partecipano davvero alle decisioni che contano? O sono ancora bloccati in fogli Excel?